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Sintesi sulla fine della respublica nell'antica Roma

 

 

L’espansionismo romano creò una realtà tanto problematica da non poter essere gestita dall’ordinamento politico tradizionale della respublica (senato, consoli e magistrature che si equilibravano tra loro) che aveva funzionato bene nei secoli III e II a. C. (nel nostro manuale alle pagine 426 e 427 è spiegato il rapporto tra le guerre di conquista- impoverimento dei contadini- crescita del latifondo e il conseguente problema sociale).
Le riforme dei Gracchi tentarono di dare una risposta a questa situazione critica (nel manuale a pag. 430). Queste riforme furono avversate dal senato e dai ricchi proprietari terrieri.
In questo frangente (intorno al 133 a. C.) il dato da tenere in considerazione è che la concordia e l’equilibrio che avevano caratterizzato la repubblica romana nel periodo precedente si trasformano in un “conflitto istituzionale”. Un conflitto, cioè, che non presenta solo due proposte politiche che si confrontano all’interno di un sistema di regole condivise, ma che investe questo stesso e più fondamentale accordo.
Normalmente le istituzioni politiche fondamentali indicano quali sono, in una società, i poteri fondamentali e come sono distribuiti, nei loro limiti e nelle loro possibilità. Una volta accettato questo orizzonte comune, e al suo interno,  si possono sostenere idee politiche diverse anche in forte dialettica tra di loro. In questo caso le istituzioni sono forti e il conflitto è “istituzionalizzato”, avviene dentro le regole di tutti, crea tensioni, ma non crea crisi pericolose per la tenuta dello stato.
Invece, come sappiamo, proprio in questo periodo delle riforme graccane, la figura del tribuno della plebe diventa strumento di lotta e non più d’integrazione tra i settori della società romana. E che la politica sia azione di forza e contrapposizione brutale e violenta si nota anche con il senatus consultum ultimum del 122 a. C. (vedi a pag. 434) in cui il senato esortava i magistrati ad agire anche al di fuori delle leggi normali per ristabilire l’ordine violato dalla parte plebea popolare. Per il senato la repubblica attraversava una situazione di eccezione e non di normalità. E lo stato d’eccezione, poiché non è normato e regolato da accordi condivisi, apre alle avventure dei più forti, agli arbitri e alle prepotenze.
La contrapposizione tra optimates e populares che si apre a questo punto conferma questo quadro generale.

Brevemente ricordiamo il ruolo di Caio Mario e di Lucio Silla in queste dinamiche.
Mario: l’arruolamento dei nullatenenti nell’esercito genera nei soldati la fedeltà al comandante più che alla respublica (107 a. C.).
Silla: il suo potere assoluto è reso possibile dal cambiamento che la magistratura della dittatura subì con lui. Silla ebbe il titolo di dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae: dato lo squilibrio tra i poteri dello stato doveva legiferare e riscrivere la res publica, non solo difenderla (manuale a pag. 442).

Questi episodi indicano che la forza politica era detenuta dai comandanti militari e che il senato (antico organo centrale della dirigenza dello stato) ormai attraversava il suo declino politico. Le parti in gioco, gli schieramenti di parte, sono più forti delle istituzioni di tutti, cioè della res publica.

In conclusione, e in grande sintesi, gli eventi del II e del I sec. a. C. mostrano che “l’allargamento delle conquiste romane aveva reso inadeguate le istituzioni romane. Era infatti impossibile governare un impero che, dalla fine del secondo secolo a. C., trapassava largamente l’Italia e il Mediterraneo occidentale partendo da un consiglio, come il senato, troppo ristretto, per quanto prestigioso, e con le tradizionali magistrature, che erano pensate per governare una realtà di dimensioni ristrette” (Gabriella Poma, Le istituzioni politiche del mondo romano, Il Mulino, 2002, p. 112).