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Bioetica

 

Pubblichiamo la sintesi, redatta da Alessandro Bonu,di un intervento che la dott.ssa Federica Artizzu ha presentato al liceo Pacinotti di Cagliari.

 

Che cos’è la bioetica?

Il termine, coniato da Aristotele, indica l’applicazione dell’etica all’intero mondo vivente, che comporta(secondo l’enciclopedia bioetica del 1978)uno studio sistematico della condotta umana. Essa in buona parte si fonda sul cosiddetto imperativo tecnologico che domanda: la scienza è libera di perseguire ogni suo scopo o deve avere dei limiti impostile dall’etica? Questo imperativo trova alla domanda che pone due risposte sotto forma di tesi, definibili opposte:

  • La fede cieca nella medicina porta ovviamente alla convinzione che la ricerca ed il progresso non debbano avere limiti, bensì possano portare solo a risultati positivi, qualsiasi siano i modus operandi e le strade per giungervi;
  • Il timore di squilibri irreparabili spinge a pensare che si debbano porre dei limiti precisi e ben definiti, derivanti dall’etica per non spingersi oltre quel limite che l’uomo ha per natura.

La bioetica porta a riflettere sulla legittimità dell’imperativo sopra riportato, affrontando, per scopo, problemi pratici di libertà e di contrasto tra diversi diritti di individui differenti, derivati dalla stessa(esemplificativi a riguardo la libertà di scelta della madre che, per così dire, può essere lesa dal diritto alla vita del figlio). Questa branca della filosofia è assolutamente interdisciplinare, per tanto si occupa di diverse materie e, per l’appunto discipline, quali biologia, la stessa filosofia, teologia, medicina e così di seguito, e delle loro tesi e visioni delle differenti problematiche. Negli ultimi anni la bioetica ha richiamato l’attenzione anche della politica, effettivamente in un paese in cui vige il regime democratico il giusto corrisponde al volere della maggioranza. Riguardo la suddetta disciplina notevole rilevanza è posseduta dal libro di Potter del 1971 intitolato “Bioetica, ponte verso il futuro” che si apre con un incipit alquanto sconcertante: l’uomo è per la terra ciò che il cancro è per l’uomo? Com’è facilmente intuibile la risposta cui approderà in questa sua opera l’autore è affermativa. Per questa ragione secondo lo scrittore la bioetica deve porsi come ponte tra scienza e umanesimo. È però da considerarsi che Potter fu uno degli iniziatori del movimento denominato catastrofismo.

Il primo centro creato per occuparsi della bioetica fu il ”Kennedy Insitute” a Washington. Come pare ovvio concludere, date tutte le discipline che abbraccia, non esiste una sola bioetica, così come la bioetica generale non è in grado di dare delle definite risposte, ma può solo sollevare problematiche, in quanto tende a dividersi(ad esempio tra laica e religiosa). Per comprendere meglio di cosa tratta questa branca filosofica si consiglia di servirsi dell’esempio che segue: il cambiamento del concetto della morte e dell’importanza e rilevanza della stessa in ambito umano.

Anni orsono la morte veniva definita esclusivamente come cessazione permanente della circolazione dei liquidi corporei. Negli anni ’50 però un medico danese, nel tentativo di porre rimedio all’alto tasso di mortalità causata dalla poliomelite, inventò il respiratore artificiale che sopperì alle momentanee difficoltà respiratorie dei pazienti affetti da tale malattia, segnando un’importante svolta per la medicina mondiale. Alcuni pazienti restavano in vita per molto tempo, in quanto non autosufficienti usufruivano del respiratore artificiale, ma in quanto cerebralmente inattivi non erano in grado di riprendersi né di poter puntare al benché minimo miglioramento. Nel frattempo nel 1967 in Sudafrica fu effettuato il primo trapianto di cuore, con risultati soddisfacenti, sebbene il paziente sia morto 18 giorni dopo l’operazione. Il problema principale che premeva sull’opinione pubblica era quindi se e quando disattivare il macchinario respiratore. Difatti da un lato vi era un grande bisogno di organi e dall’altra le corsie erano piene di affetti di insufficienze respiratorie(semplice dedurre cosa avrebbe suggerito un’etica utilitaristica). A tema fu istituita nel 1968 una commissione, detta di Harvard, con il compito specifico di vagliare la definizione della morte cerebrale, considerando gli ultimi sviluppi. Essa fu definita come stato di coma irreversibile provocato da un danno cerebrale. Più recentemente, sempre di pari passo con lo sviluppo delle nuove tecnologie, è sorto il problema riguardante la morte corticale, il cui dibattito è tuttora aperto e acceso. Infatti, nel caso in cui il danno sia solo alla corteccia cerebrale, il paziente mantiene le funzioni vitali involontarie, ma non si riprenderà certamente dallo stato comatoso. Che fare a riguardo?

 

La clonazione.

Il termine clone deriva dal greco klon che significa germoglio o ramoscello. Il sostantivo italiano significa riproduzione asessuata di un individuo tramite le cellule di un altro al quale risulterà identico anche per corredo genetico. I procedimenti più adatti per ottenere un individuo clonato sono due:

  • La fissione gemellare, nata nel 1950, che consiste nella separazione delle cellule nella prima fase embrionale(un procedimento analogo avviene in natura quando si formano i gemelli omozigoti);
  • Il trapianto(o trasferimento)nucleare, nato nel 1962, consiste nel trapiantare il nucleo di una qualsiasi cellula(la particolarità sta nel fatto che si possano utilizzare anche le cellule somatiche)in qualsivoglia stato di sviluppo in un ovulo precedentemente enucleato, e nel provocarne lo sviluppo.

I tentativi di riuscire nel portare a termine con successo gli esperimenti relativi alla clonazione continuarono con notevoli passi avanti dal 1962 al 1996. In quest’anno appunto ci fu un risultato determinante: la nascita di Dolly, il primo animale nato mediante clonazione di una cellula adulta. La svolta consiste anche dal fatto che prima era ampiamente diffusa in campo medico la credenza che, dato che da una cellula somatica non si può risalire ad una cellula staminale, fosse impossibile anche clonare un qualsiasi nuovo organismo partendo dalla stessa. Dal 1996, quindi, ha preso piede con maggior vigore la clonazione riproduttiva di animali mammiferi. Il problema presentatosi però dopo breve tempo fu che Dolly soffriva di una forma di invecchiamento precoce, una sorta di artrite che la portò alla morte. Da questo risulta palese che qualcosa non ha funzionato come si era ipotizzato o come avrebbe dovuto. Pertanto la clonazione riproduttiva umana è severamente vietata da qualsiasi stato o nazione, in tutto il pianeta. Esiste però un’altra varietà di clonazione: la clonazione terapeutica. Essa consiste nel produrre embrioni per ottenere una coltura di cellule staminali. Questo tipo di cellule sono le uniche capaci di dar luogo ad una progenie di cellule sempre maggiormente differenziate e specializzate. La cellula staminale è difatti in grado di trasformarsi in una cellula di qualsiasi tessuto(vale a dire che potrebbe divenire del fegato, della pelle, dello stomaco, delpancreas e così di seguito per ogni campo di specializzazione). Da ricordare è inoltre che la clonazione terapeutica è uno dei settori più promettenti nell’ambito della ricerca di cure per le malattie ancora non debellabili.

 

 

Problema dell’embrione.

L’embrione deriva necessariamente dalla fecondazione. Essa è il processo che porta dall’incontro dei gameti alla loro fusione per formare lo zigote o ovulo fecondato. Lo zigote ha in potenza la possibilità(difficilmente si realizza)di formare otto gemelli. Esso è una cellula totipotente, ossia in grado di dare origine ad un intero organismo. Il prossimo stadio evolutivo è la morula, formata da 16 cellule; esse non è totipotente come il precedente stadio, bensì pluripotente, ovvero ciascuna delle cellule può dare origine ad uno qualsiasi dei tessuti componenti l’organismo se sottoposta ad adeguato trattamento. Stadio successivo alla morula sono i blastocisti che variano da un numero minimo di 100 ad un numero massimo di 140, a loro volta suddivisibili in embrioblasti che sono ciò che effettivamente andrà a formare l’embrione e trafoblasti che sono ciò che fungerà da nutrimento per l’embrione stesso. I blastocisti possono essere impiantati nell’utero sino al quattordicesimo giorno, in cui l’embrione comincia ad assumere una forma più definita. Nel terzo mese, poi, si verifica il passaggio da embrione a feto. Anni orsono erano chiamati embrioni la cellula fecondata e i successivi stadi evolutivi sino al terzo mese. Poi però intervenne una commissione inglese, analoga a quella statunitense di Harvard, denominata di Wornok, col compito di stabilire la legittimità degli esperimenti sull’embrione. Quest’organo decisionale decretò che, sino al quattordicesimo giorno, l’essere in questione era da chiamarsi pre-embrione e che sulle cellule di questo stadio era legittimo e morale portare avanti la ricerca. Un ulteriore riscontro viene fornito dall’opera di un prete di nome Norman Ford intitolato: “Quando comincio io” e tradotto in italiano nel 1997. In questo scritto egli sostiene con vigore la tesi della Chiesa Cattolica(secondo cui ricerche su un qualsivoglia genere e tipo di feto sono amorali e vietate), ma pone una restrizione: secondo il suo parere l’individuo comincia solo quando al quattordicesimo giorno, quando l’embrione comincia a prendere le sembianze che saranno poi tipiche della specie. Il quesito a riguardo diviene pertanto: l’embrione è una persona? La biologia ovviamente non può rispondere in quanto non esiste una scientifica e unanime versione del termine persona(esso è in effetti più un problema filosofico). Tutto ciò che questa scienza può chiarire a riguardo è che la fecondazione è un processo continuo e ininterrotto, privo di salti. La commissione di Wornok pertanto decise, con una maggioranza di 16 voti contro 7, di porre la definizione del pre-embrione, riconoscendo l’illegittimità dell’atto del togliere la vita a ciò che è conseguentemente definito embrione.

 

 

(Intervento della dott.ssa Federica Artizzu, a cura di Alessandro Bonu, classe V E Liceo Pacinotti, Cagliari)

03-Feb-2005