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Il concetto di potere nel medioevo (II)

 

 

 

Ascesa e declino del papato come potere universale

Si parla qui del papato in quanto potere universale, in quanto cioè dotato di una auctoritas che si vuole al di sopra degli altri poteri  che caratterizzavano le sintesi politiche che abbiamo studiato. Partendo dal secolo X per arrivare al secolo XIV si seguirà lo schema:

a) decadenza morale e spirituale del papato; b) preparazione della riforma della chiesa, sua attuazione e raggiungimento del prestigio spirituale e politico del papato; c) crisi dell’universalità del potere pontificio di fronte all’emergere del potere, più limitato nello spazio ma più forte, degli Stati nazionali.

Decadenza del papato (sec. X)

Cominciamo a trattare il problema a partire dal sec. X. E sottolineiamo due fenomeni:

· l'autonomia delle chiese locali;

· l'indebolimento politico, morale e spirituale del papato.

I vescovi che governavano alcune grandi chiese locali avevano trasformato le loro diocesi in veri principati signorili, autonomi da ogni potere, compreso quello papale. Alcuni tra essi pensavano che il governo della Chiesa dovesse essere collegiale piuttosto che monocratico, e che il papa potesse governare solo in comunione con l’episcopato. Anche le chiese orientali esprimevano una convinzione simile quando rifiutavano di riconoscere il primato del papa sulla cattolicità.Il papato visse, durante il X secolo, le sue pagine più buie. L’istituzione era in mano alle famiglie aristocratiche romane in lotta tra loro, e le figure dei papi che si succedevano al soglio pontificio non possedevano il prestigio morale o l’autorità spirituale per dirigere la chiesa universale.Il desiderio di una riforma della chiesa si faceva strada tra movimenti religiosi di diversa natura, popolari o intellettuali e monastici. Comune era l’esigenza di un ritorno al cristianesimo del vangelo, più puro e spirituale.

Le richieste dei movimenti riformatori

I fautori della riforma religiosa non avanzavano tra loro programmi omogenei. La "riforma monastica", che prese avvio dal monastero di Cluny (fondato nel 910) mirava a una ripresa spirituale del papato e della chiesa. I monaci di Cluny erano soprattutto uomini di preghiera, esseri "angelici" con un rapporto privilegiato con l’aldilà. Avevano inoltre elaborato una liturgia ricca di simbolismo e fortemente espressiva. Il loro ordine si diffuse grandemente in Europa proponendo a tutta la chiesa il proprio ideale monastico di tipo spiritualistico. Non contestavano la ricchezza e l’ordine sociale esistente. Molte chiese cluniacensi si distinguevano per la magnificenza dell’architettura, della scultura, dell’arte in genere e per la bellezza e la ricchezza degli arredi sacri. Tanta gloria umana serviva a far risplendere la gloria divina.

Altri ordini religiosi impegnati nel movimento riformatore furono quelli generati dalla comunità di Camaldoli, nell’Appennino tosco-romagnolo, vicino ad Arezzo ( fondata da Romualdo di Ravenna, verso il 1012); dalla comunità di Vallombrosa (Toscana); dalla comunità di Cîteaux (Cistercium) 1098, da cui nacquero i cistercensi, più rigoristi rispetto ai monaci camaldolesi (appartenne a quest’ordine Bernardo di Chiaravalle); dalla comunità del massiccio desertico della Grande Chartreuse presso Grenoble,1084 ( rigoroso silenzio, preghiera e meditazione). Questi ordini monastici di ispirazione eremitica, erano spesso in polemica con l’ostentazione di sfarzo propria di Cluny. Da essi partirono critiche verso la corruzione della chiesa e del clero soprattutto contro la simonia e il nicolaismo. Il movimento della riforma non fu solo opera di comunità monastiche. Anche il popolo cristiano partecipò con richieste proprie. Si diffusero movimenti di ispirazione "pauperistica" che predicavano una chiesa umile e povera, sull’esempio di Gesù di Nazaret, e papi e vescovi più vicini alla vita del popolo. Si cita a questo proposito il movimento della patarìa milanese (sec. XI) il cui nome forse rimanda a un appellativo spregiativo ( pezzenti, straccioni).Alcune frange della stessa gerarchia ecclesiastica erano sensibili a tutti o ad alcuni di questi motivi proposti dai vari movimenti di riforma. I temi della riforma monastica potevano infatti fornire strumenti dottrinali tramite cui il papato avrebbe rafforzato il suo ruolo. L’accusa di simonia, rivolta contro i vescovi che rivendicavano la loro autonomia da Roma, avrebbe favorito la subordinazione gerarchica delle chiese locali all’autorità del papa. Anche la patarìa milanese fu utilizzata dai vertici ecclesiastici romani per combattere l’autonomia del vescovo di Milano: i patari si contrapponevano al vescovo locale in nome di ideali religiosi universali e così offrivano un elemento che poteva essere adoperato a favore di una riorganizzazione centralistica del potere della chiesa.Alcuni papi, affiancati da consiglieri riformatori, intrapresero la strada della ricostruzione del potere e del prestigio del vescovo di Roma.
Ricordiamo Leone IX, papa voluto dall’imperatore Enrico III ( può sembrare una contraddizione che un imperatore elegga un papa riformatore, ma la storia non segue logiche lineari, e da eventi complessi e variegati possono sorgere in un secondo momento, sviluppi più chiari e posizioni più nette. All’epoca di Enrico III e di Leone IX la lotta tra impero e papato non è ancora iniziata. Questa lotta sarà il frutto dell’evoluzione degli eventi che all’inizio si presentano in un intrico abbastanza confuso). Questo papa chiamò a Roma alcuni esponenti della riforma e sotto il suo pontificato si consumò la frattura tra la chiesa di Roma e quella di Costantinopoli (1054). Ancora oggi la chiesa d’oriente ( chiesa Ortodossa) è separata dalla chiesa cattolica romana.
Ricordiamo ancora Niccolò II, che stabilì nuove norme per l’elezione del papa, rendendola indipendente della volontà dell’imperatore. Nel 1059, con il Decretum in electione papae, stabilì che il diritto di eleggere il papa spettava soltanto ai cardinali, ossia ai titolari delle chiese cardine di Roma e dei dintorni.Ricordiamo infine Gregorio VII ( Ildebrando di Soana) il papa della "lotta per le investiture". La sua determinazione nel definire il ruolo del papato e nel rivendicarne il primato tra i vari poteri spirituali e temporali dell’Europa fu costante e solida. La chiesa doveva organizzarsi gerarchicamente e doveva essere guidata come una monarchia; il potere imperiale doveva desacralizzarsi, cioè abbandonare ogni intervento in ambito religioso ( intervento nell’elezione dei vescovi e addirittura del papa). Il suo Dictatus papae, del 1075, affermava che l’unica guida della chiesa è il papa,che solo il papa può nominare i vescovi, che il papa può deporre l’imperatore, che può sciogliere i sudditi dai doveri di obbedienza verso i sovrani.
La risposta dell’imperatore, allora Enrico IV, non si fece attendere. Enrico riunì a Worms, nel 1076, un concilio di vescovi tedeschi che dichiarò decaduto Gregorio VII.
A sua volta il papa scomunicò l’imperatore sciogliendo i sudditi di questi dal dovere di obbedienza. I potenti nemici interni di Enrico approfittarono della scomunica papale per opporsi all’imperatore e coalizzarsi contro di lui. A questo punto si situa l’umiliazione di Enrico a Canossa, il perdono del papa, il ritorno di Enrico in patria da dove riprese la battaglia, più impenitente che mai.Il conflitto proseguì e coinvolse i discendenti dei primi protagonisti. La sua conclusione avvenne nel1122, a Worms, dove un concordato venne firmato dall’imperatore Enrico V e dal papa Callisto II. Il trattato prevedeva che l’imperatore non potesse nominare i vescovi, cioè non potesse conferire loro l’investitura spirituale ( simboleggiata dalla consegna dell’anello e del pastorale), poteva però, ma solo nel regno di Germania, e a elezione del vescovo avvenuta, conferire a quest’ultimo funzioni e beni temporali ( simboleggiati dallo scettro).La chiesa che usciva da questo periodo di riforme e di lotte era una chiesa fortemente gerarchica, strutturata come una monarchia con a capo il papa. L’indipendenza dal potere politico era raggiunta, così come erano state eliminate le condizioni della corruzione del clero. Si realizzavano così alcune richieste fondamentali del movimento riformatore. Non furono accolte però dalla chiesa le istanze popolari della riforma tendenti a una chiesa umile e povera, e non strutturata gerarchicamente. Queste aspirazioni però si conservarono ancora tra il popolo e troveranno espressione in movimenti ereticali pauperisti, e prepararono il sorgere, nel secolo successivo, delle esperienze valdesi e francescane.

Crisi dell’universalità del potere pontificio

Nell’arco di tempo di circa due secoli che seguì alla lotta per le investiture i papi rafforzarono la loro posizione universale sviluppando la teoria teocratica ( il papa ha il potere assoluto sopra tutti i potere della terra). Ricordiamo il nome di Innocenzo III ( Lotario di Segni, papa dal1198 al 1216)e di Bonifacio VIII ( Benedetto Caetani, papa dal 1294 al 1303).
Bonifacio rappresentò il culmine e la fine della teocrazia del papato come potere universale. Il suo destino va studiato insieme al capitolo sulla affermazione degli Stati nazionali.
La lotta che contro di lui condusse il re di Francia Filippo IV ( detto il Bello) fu un momento del rafforzamento del potere dello stato francese. Sappiamo che in questo periodo Stato significa monopolio del potere e concentrazione della sovranità nella persona e nella funzione del re (persona e funzione devono essere concettualmente separati come si vedrà nella scheda dedicata al potere sovrano dello stato). Filippo manifestò la volontà di centralizzazione del suo potere privando il ceto ecclesiastico francese dei privilegi legati alla tassazione fiscale. Trovò l’opposizione del papa Bonifacio per fronteggiare la quale si fece forte dell’appoggio degli Stati Generali ( l’assemblea del Clero, della Nobiltà e del Terzo stato). In Francia, cioè, ormai, anche il clero appoggiava la linea di Filippo, evidenziando in tal modo la prevalenza del principio nazionale su quello universale anche per quanto riguarda l’organizzazione della chiesa. La vittoria di Filippo sul papa  (1303)segnò la fine dei poteri universali in Europa in concomitanza con il rafforzamento degli Stati. E si comincia a parlare di chiese nazionali.

Per un lungo periodo il papato si trasformò in principato locale (organizzazione dello Stato della Chiesa) e nel Rinascimento divenne una delle corti principesche italiane. Sul ruolo spirituale della chiesa in questa realtà più locale del suo potere politico occorrerà tornare.